Cari scrittori. . . siamo piccoli editori, non editori qualunque!
Qualcuno dev’esserci rimasto male quando l’editore parigino Gallimard, subissato da manoscritti, in piena crisi Covid, ha lanciato un appello: “Date le circostanze eccezionali, vi chiediamo di rimandare l’invio dei manoscritti. Per favore, prendetevi cura di voi e godetevi la vostra lettura”.
Praticamente, respinti ancora prima di essere valutati. Una sberla, certo, ma forse più che meritata. Il perché è molto semplice:
Di questi tempi, per un editore, piccolo o grande che sia, è facile ritrovarsi nella richiesta di Gallimard e, anzi, proprio essendo editori, ci provoca un piacere segreto e perverso interpretarne il messaggio con toni più polemici e provocatori: volete scrivere? Prima leggete, per favore!

Scrivere può essere terapeutico, certo. Motivo per cui, il numero di manoscritti ricevuti dalla casa editrice francese durante gli estenuanti periodi di lockdown, in cui bisognava inventarsi delle attività per sopportare il distanziamento sociale, è raddoppiato. Ma scrivere bene è tutta un’altra cosa. Scrivere bene è un lavoro. E, il più delle volte, richiede un contratto a tempo pieno con la pagina bianca.
La scrittura non gira solo intorno al talento. Completare un buon libro e tentare la fortuna, inviandolo a una casa editrice qualunque, può essere deleterio. Per raggiungere l’orizzonte di una distribuzione locale vanno considerati dei fattori esterni e interni al vostro testo, determinanti per dimostrarsi “all’altezza” di chi deciderà di investire su di voi.
E, credeteci, farsi pubblicare da una grande casa editrice come Gallimard può essere più semplice e immediato di una qualsiasi piccola realtà locale.
E ora vi spiegheremo il perché.
In base alla nostra esperienza di quest’ultimo anno, abbiamo elencato una serie di passi falsi da non fare. Una guida per tutelare i vostri sforzi, per lavorare al vostro lavoro al meglio.
1.Considera sempre il chi

Cosa distingue un editore locale da un qualsiasi editore? L’editore locale, per sopravvivere non può puntare solo sulla validità dei suoi testi. E’ una questione di mercato: in termini di visibilità, non competerebbe con i grossi nomi dell’editoria nostrana. Per sopravvivere, una piccola realtà editoriale è costretta a differenziarsi. Puntare su una serie di valori aggiunti che, oltre alla qualità dei libri, garantiscono un’identità solida e riconoscibile agli occhi dei lettori.
Nel nostro caso, il valore che contraddistingue la nostra casa editrice è il racconto dei luoghi e della tradizione di Como, del lago, delle voci e delle storie che vivono qui intorno. Quante volte ci è successo di ricevere dei manoscritti che non c’entrassero nulla con quella che potremmo definire la nostra linea editoriale: romanzi di fantascienza, testi autobiografici ambientati chissà dove, fiabe che raccontano di orsi, serpenti e dinosauri.
Insomma, come potremmo noi, valorizzare scritti del genere? Anche se ottimi dal punto di vista della forma e del contenuto, questi scritti non sarebbero adatti a noi perché i nostri lettori, abituati a un intrattenimento letterario di tutt’altro genere, non li leggerebbero.
2.Considera anche il cosa
Il tuo manoscritto può rinnovare il catalogo di un editore locale senza tradirne la linea editoriale? In che modo?
E’ una domanda importantissima da porsi nel momento in cui si spedisce un manoscritto. Se hai scritto una guida sui percorsi e i rifugi dei monti del Lago di Como e non vedi l’ora di inviarcela, allora dovresti prima dare un’occhiata al nostro sito. Troverai un altro libro simile, appena ristampato. Quindi ti accorgerai che, forse, il tuo libro potrebbe trovare più consensi da un altro editore locale che, come noi si occupa di raccontare il territorio, ma che non ha ancora un prodotto simile.

Tentar non nuoce ma mai vivere solo di tentativi. In questo caso faresti bene a spedirci comunque il tuo progetto ma intanto: dedica più attenzione a un’altra casa editrice comasca che finora, ad esempio, si è occupata solo di saggi storici. Gli editori cercano sempre dei modi per stupire i loro lettori, rinnovando il loro catalogo. In questo caso, la vostra sarebbe una proposta coraggiosa, ma tutt’altro che sconsiderata.
Proporre novità dev’essere sempre il frutto di una riflessione intelligente.
3.Casa editrice non vuol dire tipografia

Spesso veniamo contattati da scrittori che non fanno gli scrittori. Non sono neanche degli habitué delle librerie. E mentre battono le dita sulla tastiera del loro PC, non si impegnano per mantenere una qualità alta di stile, di sintassi, pagina dopo pagina.
Semplicemente, vogliono lasciare qualcosa ai propri famigliari, magari ai figli, ai nipotini, oppure vogliono celebrare qualcuno o qualcosa. Quindi ecco il libro della loro vita.
Non importa se non sono degli scrittori di professione, dicono. Non sono nemmeno dei grafici, in realtà, ma la copertina l’hanno già creata loro. Il titolo, l’hanno deciso loro. Non accettano alcun tipo di intervento sul testo. Chiedono solo una cosa: la stampa del loro capolavoro. E’ lecito, perché i soldi per la pubblicazione, dicono, li metterebbero loro. Per un editore locale potrebbe sembrare una proposta economica vantaggiosa – soldi che entrano, zero impegno – ma c’è un problema.
Su un libro sicuramente pieno di difetti ci andrebbe comunque il marchio di una casa editrice. E, a lungo andare, accettare proposte del genere potrebbe ledere l’immagine dell’azienda, in un settore già spolpato da una concorrenza spietata. In questo caso, l’errore dell’aspirante scrittore è scambiare la piccola casa editrice per tipografia. Vogliono provare il brivido di tenere il libro che hanno scritto tra le mani. Hanno urgentemente bisogno di qualcuno che lo stampi.
Una casa editrice, per definirsi tale, invece è fondata su un lungo lavoro di squadra che implica diverse professioni e competenze: la correzione bozze, l’editing, la pianificazione delle fasi di promozioni, la grafica, la scelta del formato, la scelta della copertina. Anche il titolo, certo. Pubblicare un libro, è sempre un lavoro di squadra.
Il consiglio che vogliamo darvi, in sintesi, è: non pensate che una volta scritta l’ultima parola, il vostro lavoro sia finito. Dovrete dimostrarvi al passo coi tempi, consapevoli di ciò che avete scritto. Non siate sbrigativi, superficiali mentre interagite con un editore. Non importa se si tratta di una realtà piccola, locale. Se la prima impressione è quella che conta, a rimetterci, alla fine, non sareste voi, ma il vostro libro.